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 dal Circolo 'il Borgo' di Parma

 

 Giuseppe Micheli nella storia d'Italia e nelle storia di Parma

 

Giuseppe Micheli
nella storia d’Italia e nella storia di Parma

A cura di Giorgio Vecchio e Matteo Truffelli

 Presentazione  (a cura di Andrea Borri) pag. 9

Una vita dedicata all'impegno per il Paese, con l'attenzione sempre rivolta ai più deboli. Una vita da protagonista del Novecento, quella di Giuseppe Micheli, nato a ridosso dell'unità finalmente raggiunta (nel 1874, in un'Italia tesa fra arretratezze croniche e una spinta già nove­centesca ad immettersi nella "fiumana del progresso") e morto (a 74 anni) subito dopo la costituzione del primo Parlamento della Repub­blica. Un Parlamento in cui, appena dopo la dolorosa parentesi fasci­sta, Micheli entra (dopo le tante legislature del periodo pre-dittatoriale) non da eletto ma da senatore di diritto, motivo, questo, più di rammarico che di soddisfazione: «Questa trasmigrazione di una parte di noi al Senato ci fa lasciare questi seggi con grande malinconia ­dichiara nell'ultima seduta dell' Assemblea costituente-. È vero, non omnis moriar, ma qualcosa di diverso vi è in questa quasi artificiale sopravvivenza nostra che finisce per turbarci. Noi non torneremo più qui attraverso il clamore della battaglia, vincendo la quale sapevamo di poter parlare qui, e fuori di qui, con ben altra autorevolezza».

In queste poche parole c'è molto dello spirito di Giuseppe Micheli, uomo d'azione, fortemente concreto, desideroso di misurarsi "sul campo" e di verificare il consenso degli elettori, di quei cittadi­ni per la cui partecipazione effettiva alla vita politica del Paese egli tanto si è battuto: con una tenacia, una forza e un'onestà intellettuale a dir poco ammirevoli.

L'ingresso in Parlamento risale a quarant'anni prima, nel 1908, alla vittoria di Micheli nelle elezioni suppletive del 17 maggio nel collegio di Castelnuovo Monti: ma la sua vicenda politica (nel senso più pieno del termine) prende avvio ancora più indietro, in anni davvero giovanili. E una breve panoramica sulle tappe salienti dell' attività di quel periodo testimonia inequivocabilmente della forza della sua voca­zione, quella che a soli quindici anni gli fa frequentare attivamente la scuola di studi sociali del salesiano Carlo Maria Baratta (di cui diventa assiduo collaboratore): in quel torno d'anni Micheli è segretario della sezione giovanile dell'Opera dei congressi di Parma; gira l'Italia occupandosi di associazionismo operaio e di cooperazione rurale e diventa direttore del periodico "La cooperazione popolare" (organo di sostegno delle casse rurali); è tra i firmatari dell'Appello agli studenti (pag.10) cattolici italiani del 1895, da cui nasce -l'anno successivo- la FUCI; fonda nel 1899 l'associazione La Giovine Montagna, per la valorizzazione dell' Appennino emiliano, da cui nel 1900 scaturisce il periodico "La Giovane Montagna" ("Organo degli interessi delle vallate par­mensi e pontremolesi"); guarda con attenzione alla dimensione internazionale interessandosi delle esperienze politiche ed economiche dei cattolici tedeschi e belgi; analizza le idee democratiche di francesi e americani; partecipa attivamente alla neonata Associazione dei Comuni italiani, entrando a far parte del Consiglio direttivo con Sturzo e dirigendone l'organo di stampa ufficiale; idea e promuove innumerevoli iniziative a prima vista distanti tra loro, ma in realtà espressione di un unico grande disegno sociale e politico.

Micheli ha alle spalle tutto questo -questa lunga esperienza con la gente- quando nel 1908 entra in Parlamento. Un ingresso quasi in punta di piedi, poi ripetutamente confermato negli anni a venire: è deputato per quasi un ventennio (dal 1908 al 1926), deputato alla Costituente nel 1946-47 e senatore di diritto nella prima legislatura della Repubblica; è inoltre ministro dell' Agricoltura e dei Lavori pubblici prima della dittatura fascista, e ministro della Marina nel secondo governo De Gasperi.

Una carriera lunga e piena d'iniziative, piena d'azione, per un politico cattolico (protagonista assoluto delle sorti e dei progressi del movimento cattolico italiano, dagli impacci del Non expedit ai successivi affrancamenti da esso: dalla presenza attiva, dopo uno scetticismo della prima ora, nel Partito popolare di Sturzo alla presidenza del I Congresso della Democrazia cristiana) cui sono legati tanti momenti fondamentali -tante conquiste fondamentali- della nostra storia democratica: cito solo la legge elettorale proporzionale (Micheli ne è relatore alla Camera dei deputati nel 1919), che ha spostato l'ottica politica italiana chiamando gli elettori stessi a una partecipazione più larga (e nella sostanza più concreta) e che ha segnato un'importante stagione politica del nostro Paese, e l'opposizione ferma alla legge Acerbo nel 1923 (Micheli è relatore di minoranza), che preparava la dittatura. E poi i tanti provvedimenti proposti e sostenuti da ministro, su cui non mi soffermo.

Parlamentare, ministro, personaggio di primo piano della vita politica nazionale. Non per questo, però, sordo alle istanze anche più minute dei più deboli (di quelli che di solito faticano a far sentire la propria voce): la sua sensibilità -la sua profonda umanità- appare del tutto evidente nell'impegno tra la gente di Messina colpita dal disastroso terremoto del 1908 (il giovane deputato Micheli, appena eletto alla Camera, si rimbocca le maniche e aiuta la città a rinascere) e nel comportamento tenuto nel corso della Prima guerra mondiale, (pag.11) quando, superati i dibattiti sull'interventismo, si preoccupa in primo luogo delle concrete esigenze della popolazione rurale colpita dalla chiamata al fronte dei contadini. Legatissimo, sempre, alla sua terra: il Micheli "romano" e "nazionale" non dimentica né l'amore per la montagna e per la sua gente (ai cui problemi è sempre stato vicino e sensibile) né le passioni coltivate fin da ragazzo come quella per gli studi storici (copiosa la sua produzione su Parma e il Parmense), né -tantomeno- il suo interesse per la professione di notaio.

Non è in realtà nemmeno corretto parlare di un Micheli "locale" e di un Micheli "nazionale", proprio perché le due dimensioni s'intrecciano perdendo ciascuna i propri contorni in senso stretto. L"'universo Micheli" è estremamente articolato e vario, e anche gli aspetti più apparentemente lontani dalla scena politica nazionale sono tessere indispensabili di un mosaico altrimenti incompleto: Micheli il politico, il parlamentare, il ministro, l'aventiniano, ma anche Micheli l'amico della montagna e della sua gente, l'uomo nel cui studio si costituisce il CLN di Parma, l'inesausto animatore di associazioni, gruppi, iniziative le più diverse.

Una personalità composita, complessa: straordinaria e prorom­pente nelle sue mille sfaccettature. Senz' altro non valutata appieno nella sua centralità nella storia italiana del Novecento. L'opera del Comitato per le celebrazioni per i 50 anni della morte di Giuseppe Micheli e per i 100 anni della fondazione dell'associazione La Giovine Montagna, con le tante iniziative organizzate a partire dal 1998 (anno del cinquantenario della morte), ha tentato di colmare la lacuna -una lacuna grave per la storiografia italiana- coinvolgendo nomi tra i più illustri della riflessione storico-politica del nostro Paese e trovando nel convegno di cui questo volume riporta gli atti il suo momento centrale: una "tre giorni" di assoluto rilievo che ha avuto l'enorme pregio di proporre un approccio sistemico al perso­naggio. Credo infatti che l'aver separato l'uomo del territorio, strettamente connesso al suo collegio e ai suoi elettori, dal ministro e dal membro di consessi di alto livello possa essere stato in passato uno degli ostacoli a una valutazione ampia e completa della figura di Micheli: l'aver affrontato tutti questi aspetti insieme ha senza dubbio costituito uno dei grandi meriti del convegno, la cui notevole levatura qualitativa è ben testimoniata dalla profondità e dal valore degli interventi qui raccolti.

ANDREA BORRI   

 

Introduzione  (Giorgio Vecchio e Matteo Truffelli) pag. 15

Questo volume raccoglie i testi delle relazioni presentate al convegno su "Giuseppe Micheli nella storia d'Italia e nella storia di Parma", svoltosi dal 24 al 26 febbraio 2000 presso l'Università degli Studi di Parma, nell'ambito delle manifestazioni indette per ricordare il cinquantenario della morte di Micheli (1948-1998) e il centenario della fondazione dell' associazione Giovane Montagna (1899­1999). Sono inoltre stati aggiunti i testi delle due relazioni a carattere storico preparate per il convegno «"La Giovane Montagna": Giuseppe Micheli e l'Appennino emiliano tra ieri e domani» tenutosi a Borgotaro l'11 novembre 2000 I.

Tutte queste iniziative hanno inteso rispondere ad un selettivo criterio scientifico, vale a dire quello di ripercorrere l'avventura umana di Micheli superando luoghi comuni e cose note, per cercare il più possibile di scoprire nuove carte e di mettere in luce aspetti finora ignorati. In questo senso si sono volutamente lasciati in ombra temi finora già piuttosto studiati, come -per esempio- il contributo offerto dalla rivista micheliana "Politica nazionale", oppure l'attività di Micheli come deputato in epoca giolittiana e nel primo dopoguerra.

Un lavoro di scavo archivistico di questo genere è stato possibile grazie anche alla collaborazione della direzione e del personale della Biblioteca Palatina di Parma, custode dell'immenso materiale cartaceo lasciato da Micheli: è quindi d'obbligo un cordiale e sentito ringraziamento a nome di tutti gli studiosi coinvolti nell'iniziativa.

Il titolo delle succitate manifestazioni, ripreso come titolo di questo libro, non è puramente retorico o celebrativo: se mai vi fu nella storia italiana del Novecento un uomo politico capace di coniugare il legame con la propria terra natia con i generali problemi dello Stato e della nazione, ebbene questo fu Giuseppe Micheli. Egli non fu l'unico a rispondere a questa caratteristica, ma certamente il suo impegno in tal senso fu esemplare.

In un'epoca nella quale si vogliono giustamente riscoprire e valorizzare le radici storiche e le tradizioni culturali di ogni comunità locale, anche di fronte alle sfide della cosiddetta "globalizzazione", basterebbe questo dato di fatto per rendere utile una rilettura del pensiero (pag. 16) e dell'azione di Micheli, per quanto -va subito detto, per evitare equivoci- il suo orizzonte rimase quello italiano, non mostrando egli particolari interessi per la politica internazionale.

La biografia umana e politica di Micheli risulta ulteriormente in­teressante a causa del fatto che egli attraversò attivamente una grande parte delle vicende dell'Italia contemporanea: nato a Parma nel 1874, quindi solo quattro anni dopo la presa di Roma e la fine del potere temporale della Chiesa, morì appunto nel 1948, poco dopo la decisiva battaglia elettorale del 18 aprile. Partecipò pertanto a tutte le vicende del paese, interpretandole secondo la propria visuale saldamente cattolica: in Parlamento dal 1908 al 1926 e poi ancora dal 1946 (alla Costituente) alla morte, si confrontò da protagonista con le due guerre mondiali, con la parabola del Partito popolare, con il ventennio fascista e la Resistenza e infine con gli esordi della DC. Politicamente, si potrebbe dire, visse l'intera fase storica di transizione dall' «Italia dei notabili» alla «Repubblica dei partiti», per usare una formula felicemente ricordata da Pier Luigi Ballini nella sua relazione.

Entrato alla Camera nel 1908 - come già si è detto - Micheli fu anzitutto uomo del sistema elettorale uninominale di allora, cosa che di per sé postulava uno strettissimo rapporto con il proprio elettorato. Come altri protagonisti di quell'epoca, così, egli visse con qual­che difficoltà l'ingresso sulla scena dei moderni partiti di massa, come testimoniano i suoi rapporti non sempre tranquilli con il PPI prima e con la DC poi. In questo volume Guido Formigoni si soffer­ma attentamente su un tema così cruciale. Fautore di quello che po­tremmo chiamare un "partito leggero", Micheli accettò tuttavia la sfida del sistema proporzionale, di cui anzi si fece strenuo propugnatore. Pier Luigi Ballini descrive con accuratezza le prese di posi­zioni dell'uomo politico parmigiano, finendo per tracciare una vera e propria storia della legislazione elettorale italiana nella prima metà del xx secolo. li fatto è che la dimensione locale di Micheli (che in ciò si differenziava da altri politici dell' epoca giolittiana) era molto più vasta del singolo collegio elettorale che lo mandava a Roma: egli agiva infatti su un' area più ampia, che abbracciava non solo il parmense, ma anche la Lunigiana, e influiva poi verso il reggiano e il modenese, oltre che, in direzione opposta, verso il piacentino. In tal senso i risultati del 1919 mostrarono con chiarezza che il nuovo sistema elettorale non danneggiava per nulla le sue fortune elettorali e la sua popolarità.

La passione politica non fece di Micheli un teorico o un politologo: sarebbe alquanto problematico trovare nei suoi scritti argomentazioni di spessore pari a quelle di un don Luigi Sturzo o di un (pag. 17) Francesco Luigi Ferrari (per rimanere in campo cattolico democratico). Ma da questa constatazione non si deve dedurre che egli fosse solo un uomo d'azione o uno sprovveduto pragmatico. Diversi degli studi qui pubblicati mettono invece in rilievo parecchi tratti di origi­nalità del suo pensiero, specialmente in tema di riorganizzazione dello Stato dopo il 1945. Giorgio Vecchio propone all'attenzione dei lettori la documentazione inedita di quella Commissione interpartiti­ca per lo studio del problema regionale che fu insediata dal governo Bonomi nel 1944. In quella sede e poi nella Consulta nazionale e alla Costituente, Micheli si confrontò direttamente con l'ipotesi fede­ralistica, giudicandola in linea di principio la migliore per il futuro dell'Italia, ma tuttavia «forma superiore quasi privilegio di popoli più progrediti politicamente e meglio sviluppati economicamente» come la vicina Svizzera. Per questo motivo ritenne più opportuno limitarsi a un' opera di vasto decentramento e di potenziamento delle autonomie comunali e regionali. Coerentemente con una tradizione politica che si era caratterizzata per la sua serrata critica all' accen­tramento del vecchio Stato liberale, dunque, Micheli si pose tra i padri della modernizzazione istituzionale dell'Italia, anche se talune sue battaglie -come quella celebre per istituire una regione emiliano-lunense- si conclusero con una sconfitta.

Micheli fu -lo ripetiamo- profondamente parmigiano, legato alla sua terra in modo stretto e, per così dire, indissolubile. Il suo rapporto con Parma e il parmense è analizzato da molti contributi presenti in questo volume, che ampliano l'orizzonte dell'analisi anche ai contesti politici locali dei due dopoguerra: il primo, con la descrizione degli opposti schematismi che condizionarono pesantemente i rapporti tra cattolici e socialisti (e poi comunisti) tra 1919 e 1922, malgrado l'importante episodio della comune partecipazione alle barricate del 1922 (William Gambetta); e il secondo, con significativi chiarimenti sulla maturazione del nuovo scontro tra Chiesa e sinistre tra 1945 e 1947, anche in rapporto alle particolarità della presenza comunista in città (Nicola Brugnoli). Entro questo quadro Micheli fu molto condizionato dalla situazione concreta dell'Emilia e il suo rapporto con le sinistre fu alquanto conflittuale e privo di sfumature: lo documenta Daniela Saresella parlando delle somiglianze e delle differenze tra Micheli e Romolo Murri al tempo della democrazia cristiana di inizio Novecento, lo conferma Giorgio Vecchio soffermandosi sulla fase dei governi di unità nazionale "ciellenistica" tra 1944 e 1947. Molto va comunque ancora scoperto e studiato su questo versante, ché l'incontro-scontro tra Micheli e le sinistre deve essere analizzato senza trascurare un contesto più ampio. Bene fa allora Monica Vanin a rilanciare i contributi pubblicati nel 1997 per (pag. 18) cura dell'Istituto Luigi Sturzo di Roma e volti a restituire alla Resistenza cattolica e, più in generale, alla presenza pubblica della Chiesa nel tempo di guerra tutta la loro complessità e concretezza, andando oltre tanti schematismi ancora ben radicati. Dalla relazione della Vanin escono tante suggestioni di ricerca che andranno ascoltate e onorate nel prossimo futuro. Si collegano a questo discorso, poi, le pagine scritte da chi fu discepolo di Micheli: Sergio Passera, tra ricordi e ricostruzione documentaria relativa agli anni Quaranta, smonta l'immagine di un patriarca "stanco" e offre ulteriori spunti di ricerca sugli avvii della DC parmigiana (ma anche emiliana e na­zionale), dando al lettore un vivido panorama di episodi e di personaggi, suggerendo tra le righe l'inderogabile necessità di avviare finalmente una ricostruzione storica dei partiti e, in particolare, della DC.

Il riferimento al contesto di Parma pare davvero indispensabile per comprendere la cultura e la personalità di Micheli: e ciò, forse, in modo ancora più determinante che per altre figure storiche. Torneremo più avanti sui motivi della sua fede religiosa e sui connotati del suo cattolicesimo. Qui conviene anzitutto accennare alla sua precoce riconsiderazione della storia cittadina, espressa nello studio degli statuti delle corporazioni d'arti e mestieri, oggetto della sua tesi di laurea in giurisprudenza (cfr. il contributo di Sergio Di Noto Marrella). Alla storia di Parma, del resto, Micheli dedicò notoriamente molto tempo durante tutta la sua lunga esistenza.

Ma fu soprattutto il rapporto con la montagna a segnare in misura incisiva l'uomo. Ancora Di Noto Marrella ricorda nelle pagine che seguono lo studio micheliano sul jus proprium della montagna parmense, occasione per fare i conti con le tradizioni della gente d'Appennino e con il retaggio di una struttura sociale antica. Nel 1935 l'edizione degli Statuti comunali della montagna parmense, limitata peraltro ai territori di Borgotaro, Bardi e Compiano, rappresentò una sorta di punto d'arrivo in questo cammino. Ma la montagna fu per Micheli una «metafora della tradizione religiosa più genuina, capace di innervare la vita civile delle sue popolazioni, ma anche delle nuove idee che si apprestavano a conquistarne le vette più ardue» e contemporaneamente «lo spazio privilegiato per costruire forme di sociabilità non strettamente confessionali e luogo di incubazione ideale del suo impegno politico-amministrativo», come scrive Paolo Trionfini. Entro questa prospettiva si comprendono allora meglio le esperienze concrete di Micheli sull' Appennino, a cominciare dalle sue celebri camminate e dalla sua partecipazione alle vicende del locale CAI, raccontate da Pier Paolo Mendogni. Ma si può apprezzare meglio anche la sua preoccupazione di valorizzazione e (pag. 19) tutela ambientale delle valli, magari attraverso la battaglia per acquisire al demanio dello Stato ampie aree degne di salvaguardia. Pietro Bonardi, dal canto suo, si sofferma sul rapporto di Micheli con la Val Baganza, una valle scelta a mo' di esempio tra tutte quelle della zona. Dalla sua relazione emergono con nettezza anche le manifestazioni elettorali locali, i riti della campagna politica, i modi dei festeggiamenti delle vittorie e del riconoscimento delle sconfitte. Bonardi mette pure in evidenza il costante impegno per "cattolicizzare" le stesse vette, con la posa di croci o di cippi, quasi a segnare una riconquista degli spazi e della natura da parte del cattolicesimo socialmente organizzato. Per inciso si vuole qui ricordare che il 16 settembre 2001 è stato commemorato il centenario del cippo voluto da Micheli sul Monte Fuso, tra la valle dell'Enza e la valle del Parma, un tempo punto di confine tra gli Stati Parmensi e quelli Estensi.

Allo sforzo di modernizzazione della montagna -nel senso di un costante impegno per favorirne lo sviluppo economico e sociale, anche attraverso una politica di lavori pubblici e di creazione di infrastrutture e di migliori comunicazioni- dedica in questo libro pagine molto interessanti Antonio Parisella. Degna di essere ripresa e approfondita è la sua osservazione sulla "curiosa" serie di emiliani che in epoche diverse furono molto attenti alla montagna nel corso del Novecento: Luchino dal Verme (lombardo, ma eletto alla Camera nel collegio di Piacenza), Giuseppe Micheli, Meuccio Ruini (reggiano, per la prima volta eletto alla Camera nel collegio dell'Appennino Reggiano di Castelnuovo Monti, già di Micheli), Giuseppe Medici (di Sassuolo, economista agrario, più volte ministro e presidente dell'Istituto nazionale di economia agraria e fondatore dell'Istituto nazionale di sociologia rurale), ed infine il felicemente vivente e noto bolognese Corrado Barberis, sociologo rurale, che di Medici fu il diretto collaboratore ed allievo e che lo sostituì alla presidenza dell'INSOR. Il discorso potrebbe pertanto allargarsi da Micheli e da Parma al complessivo e originale sforzo di modernizzazione della montagna (e, naturalmente, più giù verso il Po, della pianura) compiuto in Emilia nell' arco ormai di più di un secolo. Per rimanere su Parma non si possono del resto dimenticare 1'eredità neofisiocratica e solariana che tanto influì su Micheli, ma anche i Comizi agrari, le Cattedre ambulanti di agricoltura, i Consorzi agrari (che nel 1892, nella vicina Piacenza avevano dato vita alla Federazione nazionale dei consorzi agrari, proprio mentre a Parma sorgeva la seconda Cattedra ambulante di agricoltura in Italia, guidata da Antonio Bizzozero).

Certo, il legame con la montagna fu vissuto anche in termini (pag. 20) spregiudicati da Micheli, che curò con grande abilità un rapporto con la gente che oggi definiremmo senz'altro di tipo clientelare, come dimostrano i documenti usati da Matteo Truffelli nella sua relazione. Ma, d'altra parte e in positivo, l'uomo politico parmigiano riuscì a inserire le preoccupazioni di tipo materiale (per le proprie fortune politiche e per l'innumerevole folla dei postulanti) in un quadro di valorizzazione delle persone: in sostanza, egli riuscì sempre a fare sentire ai suoi elettori che davvero era loro vicino e li rappresentava con dignità a Roma, comprendendone le ragioni e le passioni. Era questa, insomma, una (non l'unica) forma di inserimento nelle istituzioni statali degli «esclusi» dal processo unitario di nazionalizzazione, per usare una nota formula usata da Gabriele De Rosa a proposito dei contadini siciliani di don Sturzo. Rientra in questa prospettiva il forte impegno che il giovane Micheli dedicò allo sviluppo delle casse rurali, secondo l'esempio dato dal prete veneto don Cerutti. Ubaldo Delsante rileva che la confessionalizzazione delle casse, tenacemente perseguita, corrispose infatti all'intento di usare questi istituti di cooperazione di credito anche come strumenti di educazione civile e cattolica, nell' ambito dunque di un progetto di radicamento e di riconquista sociale da parte della Chiesa. Proprio a Parma, nel 1896, nacque la Cassa centrale per le Casse rurali cattoliche d'Italia, uno strumento per il quale si impegnarono appunto Cerutti e Micheli.

In ogni caso, come nota Ballini, Micheli era consapevole dei gravi limiti del sistema elettorale uninominale, che rischiava di trasformare la rappresentanza politica in «una forma feudale di patronato». Bisogna peraltro riconoscere che anche Micheli fu in qualche modo un "padre padrone" del suo collegio elettorale, tanto che i legami con la sua gente non poterono essere totalmente recisi neppure dal regime fascista.

In questa ampia prospettiva -come sottolinea nel suo studio Monica Vanin- Micheli fu pure un grande educatore e suscitatòre di energie, paragonabile in questo all' altro famoso parmigiano don Giuseppe Cavalli. Ciò si abbinò ad una costante tensione culturale che lo pose a diretto contatto con molte delle intelligenze italiane del suo tempo. Per la sua relazione, ad esempio, Giorgio Vecchio ha utilizzato l'interessante corrispondenza scambiata tra Micheli e uomini come Gioachino Volpe o Alessandro Galante Garrone (ma molti altri andrebbero citati). La capacità micheliana di sollecitare persone a lui vicine o meno vicine è confermata da parecchi spunti presenti in questo libro: la sua "Giovane Montagna" costituì una pietra di paragone e un punto di riferimento per molti giovani che all'inizio del Novecento si proposero di dare alla democrazia cristiana (pag. 21) anche un volto sportivo e escursionistico: dalla Giovane Puglia al Giovane Frignano, dalla Giovane Brescia alla Giovane Bismantova, e così via. Un altro esempio, di quarant'anni più tardo, può essere indicato nella capacità di Micheli di percepire per tempo il dramma dei familiari dei nostri soldati prigionieri o dispersi in Russia, sollecitando gli interessati a costituire una vera e propria Alleanza Famigliare per i Dispersi e Prigionieri in Russia, allo scopo di reperire e diffondere informazioni sui propri cari: fu, tra l'altro, un gesto profetico, considerato che pochi mesi dopo anche l'ormai vecchio Micheli sperimentò direttamente in sé il dolore atroce del padre privato del figlio.

Un ultimo punto merita di essere qui ricordato, perché è presente in molte delle pagine seguenti. Si tratta della religiosità personale di Micheli e del suo modo di intendere i rapporti tra fede cattolica e impegno sociale e politico. Si trattò sempre di una religiosità solida, ma mai esibita e, diremmo, "messa in piazza". La fede personale di Micheli non fu una fede problematica e sofferta, tanto che ­come nota Francesco Malgeri- egli non ebbe il gusto tipico di un don Romolo Murri per la ricerca teologica e le problematiche ecclesiologiche, causa non ultima della frattura tra il prete marchigiano e la gerarchia. No, la fede di Micheli non era condizionata da troppi e angoscianti interrogativi, era invece serena e "manzoniana", come verrebbe da dire pensando al suo amico Filippo Meda, che di Manzoni ben si intendeva. In questo contavano indubbiamente l'indole personale e la psicologia propria di Micheli, ma certo anche l'influsso della scuola salesiana, tutta concretezza e apertura sociale (Guido Formigoni) e altrettanto sicuramente quella tradizione tutta parmigiana di un' attenzione diretta alle condizioni di vita della gente povera, ben conosciuta attraverso i nomi di padre Lino Maupas, di don Agostino Chieppi, di madre Anna Maria Adorni e di tanti e tante altre, come opportunamente ribadisce Paolo Trionfini. In questo senso l'azione di Micheli può anche essere interpretata come il prolungamento sul terreno politico di una tradizione più propriamente sociale o, se si vuole, prepolitica. Proprio la robustezza e la linearità della sua religiosità consentirono a Micheli di affrontare con coraggio le evenienze più delicate della sua presenza entro la Chiesa e il movimento cattolico, dai rapporti con Romolo Murri (finemente esaminati da Daniela Saresella) a quelli, ben più sofferti, con taluni vescovi di Parma, come monsignor Magani. Si affermava pertanto in Micheli una pur inespressa visione di autonomia e di laicità nel suo modo di porsi da cattolico all'interno della società e della politica.

Inutile aggiungere altro: lasciamo a lettrici e lettori il compito di (pag. 21) verificare la fondatezza delle "chiavi di lettura" che abbiamo qui voluto proporre, ma pure di riscontrare -cosa sulla quale non abbiamo dubbio alcuno- la ricchezza dei temi e la vastità della documentazione che questo libro è in grado di offrire.

GIORGIO VECCHIO   e   MATTEO TRUFFELLI   

Note

I. Per dovere di completezza, va ricordato che al convegno di Parma del febbraio 2000 fu presentata anche una relazione di Alba Mora, dal titolo Micheli, la storia e le tradizioni di Parma, mentre a quello di Borgotaro vi furono interventi di Corrado Barberis su La montagna da problema a risorsa, di Oscar Gaspari su La montagna tra politiche statali e autonomie locali: un secolo di esperienze, di Guido Corazziari su Giovani per la montagna 2000, di Corrado Truffelli su Vincoli geografici e potenzialità socio-economiche nel futuro dell'Appennino e di Romeo Broglia su Le nuove tecnologie e la montagna. Nella stessa sede Antonio Parisella presentò una relazione su "La Giovane Montagna" di Giuseppe Micheli: un' esperienza, una politica, una cultura, le cui argomentazioni sono state rifuse nel testo qui pubblicato.