Saluto di Federico GHILLANI
"Dalla
parte dei giovani, un contributo di speranza”
Desidero
ringraziarvi per avermi accolto e inserito nel contesto
ricco e, direi, glorioso della vostra bella storia e
tradizione. Nel fare questo nomino, anzitutto, l’amico
Eugenio Caggiati che per primo mi ha contagiato alla vostra
passione civile sociale e culturale e anche chi ne ha preso
il testimone come Albino e ora Paolo. Citandoli comprendo
anche tutti gli altri che ho imparato a conoscere e
apprezzare in tante occasioni frutto del vostro prezioso
lavoro. E’ importante avere radici belle e significative
come voi avete, ed è importante farne memoria come abbiamo
fatto oggi ricordando non solo la figura di Andrea Borri che
non ho conosciuto personalmente; ma anche altri, come Carlo
Buzzi, che era amico e coetaneo di mio padre Ugo e che,
invece, ho avuto il privilegio di conoscere.
Questa sera non voglio parlare di qualcosa di altisonante,
ma della capacità, che avete e dimostrate di costruire e
delineare con pacatezza e uso dell’intelligenza, di un
modello di cittadinanza che fa leva soprattutto
sull’impegno personale nella società e anche nel dialogo con
le sue istituzioni. Proprio due giorni fa a Parma Mons.
Bregantini ci ha detto che quello della “cortesia” e non
quello della polemica sterile deve essere il tratto
distintivo con il quale rapportarsi con le istituzioni,
sempre nel rispetto di ciò che esse rappresentano, anche
quando si possono avere delle aspre critiche da rivolgere.
E’ quello stile, quella partecipazione che rischiano di
mancare nel nostro paese, senza i quali non credo si possa
andare lontano.
So da dove venite, infatti, e sono
soprattutto io che vi devo ringraziare per avermi dato in
questi anni tante occasioni di riflessione e di scambio,
comunque di arricchimento, in virtù della vostra autonomia
che non è agnosticismo, ma proposta di dialogo costruttivo
con tutti sulla base di un chiaro riferimento ai valori alti
cui vi ispirate.
Vorrei interpretare nel vostro riconoscimento
una affinità tra quello che voi fate da anni nel nostro
territorio e per il suo futuro e quello che noi del
sindacato cerchiamo di unire sempre alla tutela del lavoro.
Io sono espressione, infatti, di una realtà collettiva, che
mentre è chiamata a difendere l’occupazione e il lavoro non
può stare fuori dalla realtà in cui i lavoratori vivono i
loro problemi e, oggi, i loro drammi. Senza pensare a come
migliorarla per il bene di tutti, e ciò affinché gli uomini
e le donne possano raggiungere la pienezza della loro
umanità, in quella “società più umana, responsabile e
solidale” che voi assumete nel vostro statuto come fine da
realizzare attraverso quel “rinnovato impegno culturale” che
esprimete in tutte le vostre iniziative.
Voglio poi subito chiarire che i meriti che
mi attribuite nel settore del volontariato giovanile e nel
servizio dei più poveri del mondo, sono piuttosto effetto
della trasposizione sulla mia persona, una trasposizione che
intendiamoci non rifiuto e che mi onora molto, delle scelte
e della responsabilità cosciente e lucida maturata da mio
figlio Daniele negli ultimi anni, che lo ha portato, dopo
alcune esperienze maturate proprio qui a Parma, al servizio
civile volontario in Brasile nella missione di don Corrado
Vitali e Paolo Finardi a Senador Canedo, in quelle periferie
del mondo verso le quali di recente ci sta proiettando Papa
Francesco. Sono scelte nelle quali mi sono sentito, e mi
sento, profondamente coinvolto insieme alla mia famiglia, e
che in questi mesi per noi hanno significato la ricerca di
dare continuità, insieme a lui “diversamente-vivente” come
lo definisce oggi mia moglie (dove saremmo se non ci fosse
questa ricchezza del genio femminile!) al servizio educativo
nel quale era impegnato, e che, grazie alla generosità di
tante persone, vedrà alcuni giovani meravigliosi raccogliere
il testimone di Daniele in questa staffetta ideale che
manterrà aperto il ponte tra Parma e Senador Canedo, dove
tanti ragazzi e giovani attendono di essere aiutati a
diventare cittadini della loro terra e del mondo (ho appena
salutato con il nostro Vescovo, Giulia e Nicola che
partiranno sabato sera da Malpensa per Goiania e insieme a
Giacomo e Fabio hanno concluso il periodo di formazione).
Non vi dico l’attesa che c’è già nella comunità che li
attende: ragazzi e giovani che desiderano essere aiutati a
costruire il loro futuro e a sperare in situazioni veramente
di frontiera!
C’è un’aspetto importante del Progetto che
grazie alla Caritas, e qui ringrazio la presidente Cecilia
Scaffardi e, in particolare, Annalisa Dall’Asta che ha
curato in particolare il progetto; il nostro impegno è anche
quello di rendere ancora possibile a dei giovani di fare
l’esperienza bellissima e maturante del servizio volontario
che è stata di Daniele, in un momento in cui il nostro paese
sembra aver perso di vista la ricchezza che gli viene di
ritorno rispetto a quanto spende non riuscendo a trovare le
risorse (è di alcuni giorni fa la notizia che forse si sta
trovando una prima parziale soluzione) per garantire ancora
questa possibilità: tanti giovani che sono tornati da queste
esperienze oggi arricchiscono di sensibilità e umanità il
nostro paese e quello che portano in ricchezza di umanità e
di sensibilità sociale è molto più di quanto si è speso per
inviarli nei paesi di frontiera dove oltretutto svolgono
funzioni altrimenti impossibili.
Ma vorrei con voi cogliere questa occasione
per riflettere anche su cosa significhi per noi qui a Parma
essere dalla parte dei giovani. Nessuno possiede ricette, ma
alcune linee di impegno mi sembrano chiarirsi sempre di più
e vorrei condividerle con voi.
Molti adulti, oggi, sembrano più impegnati a
inseguire il mito dell’eterna giovinezza che nel prendersi
cura dei giovani nell’accompagnarli nella transizione verso
l’età matura, nel consentire loro partecipazione e piena
assunzione di responsabilità e di posizioni di rilievo nella
società. So di giovani spesso bloccati dai loro genitori nel
compiere scelte importanti come quella di mio figlio;
famiglie che preferiscono ingabbiare i figli nelle reti
della vita borghese piuttosto che vederli rischiare in
scelte importanti. Giovani corteggiati dal mercato perché
diventino consumatori sciocchi e innocui, coccolati da
adulti troppo spesso ridotti nei loro confronti a svolgere
funzioni avvocatizie o mansioni proprie della realtà
alberghiera o della ristorazione. Giovani perciò sempre più
soli, richiamati al dovere per il dovere, ma senza modelli
valoriali alti, per paura o quieto vivere. Oggi, infatti,
l’anello debole della relazione educativa siamo noi adulti
sempre meno capaci di relazioni educative, soprattutto
perché educazione è cosa di cuore, e oggi per un adulto è
difficile assumere questa responsabilità! Educare richiede
il mettersi in gioco e questo spesso è un rischio che molti
oggi rifuggono. Come educare allora? Non si tratta di
fornire loro contenuti, ma far fare esperienze, esperienze
dalle quali riemerga il senso vero delle cose, dei fatti,
degli avvenimenti, insomma una lettura della vita. Si tratta
di fare esperienze insieme a loro, costruendo contesti e
percorsi che siano palestre della compagnia, della
consapevolezza, della competenza, luoghi e occasioni in cui
far sperimentare lo star bene insieme e il mettersi gli uni
al servizio degli altri, nella diversità ma anche nella
condivisione, luoghi e occasioni dove i giovani si aprano
gradualmente ai problemi esistenziali e sociali, e
sperimentino modalità concrete di cittadinanza attiva, di
solidarietà, di accoglienza! Si tratta di educare in loro le
competenze sociali e relazionali, con percorsi a forte tasso
di esperienza nelle quali i giovani si educano a saper
comunicare, a interagire efficacemente con gli altri, a
lavorare in gruppo, a prendere decisioni e a gestire e
risolvere conflitti, ma anche a esercitare leadership …
affinché fin da ragazzi sappiano muoversi con impegno e
responsabilità nei vari ambiti di vita e appartenenza.
Ma a chi tocca tutto ciò? Ovviamente in
primis tutte le realtà che si occupano di formazione,
evitando però di delegare tutto alla scuola troppo spesso
sovraccaricata di tutte le emergenze sociali, e che sta
svolgendo in merito iniziative belle e significative che
spesso i docenti sono costretti a togliersi dalla pelle
nelle condizioni in cui il sistema scolastico è spesso
costretto oggi a lavorare, ma in una logica di alleanze e di
reti tra tutte le realtà associative presenti nel
territorio. Questo compito e questo impegno ci attende
tutti, e lo dico a voi come associazione ma impegnandomi
personalmente anche come organizzazione sindacale. Oggi, a
mio avviso, è enormemente necessario per dare a tanti
giovani l’occasione che attendono di emergere dalla
solitudine e dall’anonimato cui spesso li releghiamo, che è
anche la causa di tanti loro comportamenti trasgressivi e
autolesionistici. Nessuno può realizzare questa ripresa
educativa da solo, occorre aprirsi alla logica di una più
ampia collaborazione tra i vari soggetti che hanno ancora a
cuore il futuro delle giovani generazioni e della nostra
società.
Vi parlo di queste emergenze educative anche
perché penso di averle viste nell’esperienza attraversata da
Daniele, nel processo del suo aprirsi graduale ad una
comprensione di sé sempre più “alta” che lo ha portato a
sentirsi cittadino del mondo e nel servizio a scoprire la
“felicità di essere per gli altri” e che “la vera felicità
sta nella condivisione” vissuta a fianco di chi nella
relazione ti fa scoprire la tua umanità più profonda.
Nel contributo che abbiamo costruito insieme
per la nostra città nel 2011, riprendevo queste riflessioni
dell’amico comune Francesco Lauria “la crisi globale ci
obbliga a ricercare e costruire alternative, a prospettare
un cambiamento che sappia fare leva sulla fiducia, a partire
dalle giovani generazioni. Lavorare per la costruzione del
futuro dei giovani non significa prospettare soluzioni
lontane o utopiche, ma investire in un cambiamento
soprattutto di tipo relazionale: ricostruire spazi e tempi
per la socio-abilità, per lo sviluppo educativo, formativo,
professionale, di sensibilità e competenze. Si tratta di
impostare uno sforzo culturale ambizioso e al tempo stesso
realistico al fine di cogliere l’occasione della crisi per
ricominciare a pensare il futuro valorizzando temi cruciali
come la qualità delle competenze e dello sviluppo del
capitale umano”.
Carissime/i
alcune settimane fa su un giornale locale, un
amico di Mondovì dove Daniele ha fatto la formazione
scriveva:
“Dare
la vita... Uno ci pensa e si immagina subito qualcosa di
eroico, l'impresa eccezionale di chi sacrifica se stesso per
un ideale o per un'altra persona. Daniele se n'è andato per
un cavo elettrico balordo, in un incidente che sarebbe
potuto capitare ovunque, anche qui. Eppure, qualcosa come
una luce brilla persino nell'orrenda casualità di questa
tragedia”.
(L’amico
Giuseppe Bizzi ricordando Daniele in Consiglio comunale ha
usato questa espressione:
”Ventitré anni, una vita breve
nella qualità del tempo, ma così lunga nella qualità del
senso. Nessuno può sottrarre nulla alla bellezza di quei
ventitré anni, neanche un attimo.”)
“La morte straordinaria rischia spesso
infatti di far dimenticare tutto il resto. Daniele non aveva
superpoteri e la fatalità degli eventi lo conferma: avrebbe
potuto essere chiunque di noi, ed è perciò per chiunque
l'eredità che ci lascia. Il suo ultimo giorno è stato un
giorno di servizio - un servizio oscuro, fatto di travi,
cemento e arnesi di carpenteria… Ci restituisce l'immagine
della vita che Daniele ha dato: una vita realmente donata
non solo per il suo epilogo, ma soprattutto per il modo in
cui è stata vissuta… ha dato tutto in tutto ciò che ha
fatto, con entusiasmo e freschezza, non importa se per
qualcosa di umile o ”sprecato" agli occhi del mondo… lo ha
dato col sorriso sulle labbra, com'è stato abituato a
vederlo anche chi l'ha conosciuto appena di sfuggita. Ora
questa vita, più forte della morte, ci è data infine come un
dono da conservare.”
E’ questa eredità preziosa, che ci richiamerà
sempre a donarci nel servizio talora oscuro a cui ognuno di
noi è chiamato nel suo lavoro quotidiano, che insieme alla
mia famiglia vorrei farvi giungere come segno di
ringraziamento, commossi anche dalla vostra straordinaria
partecipazione al nostro dolore, ma ancora più perché so di
poter condividere con voi il sogno di non far mancare chi
continui a seminare speranza proprio là dove essa sembra
assente.
Grazie!
Federico Ghillani |